Thursday 7 May 2015

Manabu Akiyama: L’esegesi per mezzo dell’Unigenito Dio (Gv 1,18) secondo Clemente Alessandrino

Nel libro quinto di Stromati (Strom. V 81,3-4) Clemente Alssandrino, basandosi sul passo del Vangelo secondo Giovanni (Gv 1,18: “μονογενὴς θεὸς ὁ ὢν εἰς τὸν κόλπον τοῦ πατρὸς ἐκεῖνος ἐξηγήσατο”), dice che la questione teologica più difficile da trattare è la dimostrazione del principio primo e più antico. D’altronde Clemente, quando interpreta tipologicamente un tralcio con un grappolo d’uva descritto nel libro dei Numeri (Nm 13,23-14,12) per esempio, basandosi sulla figura di Gesù crocifisso, sviluppa per la prima volta tra i padri ecclesiastici una spiegazione soteriologica e sacramentale su questo passo (Paed. II 19,3-4). Il modo d’interpretazione di Clemente corrisponde alla direzione fuoriuscente dello Spirito Santo dal fianco di Gesù crocifisso (Gv 19,34), perché il corpo stesso di Gesù sulla croce si unisce al Verbo eterno di Dio (Gv 19,30). Nonostante il passo del quarto Vangelo di cui sopra si traduce di solito che “l’Unigenito Dio, quegli che è nel seno del Padre, Egli lo rivelo”, mi sembra invece che Clemente non interpreti la frase “εἰς τὸν κόλπον” come qualificatrice del sostantivo “ὁ ὤν”, ma del verbo “ἐξηγήσατο”: cioè, l’Unigenito Dio-Verbo rivela (ἐξηγήσατο) il mistero del Padre eternamente, mentre noi siamo condotti per mezzo di questo Unigenito Dio nel seno (εἰς τὸν κόλπον) del Padre infinitamente. Diveniamo quindi incessantemente l’immagine di Dio (Gn 1,26), cioè il Verbo di Dio, specialmente unificandoci alla figura di Cristo sulla croce. Secondo Clemente così, lo gnostico vive sempre nella comunione trinitaria del Padre, del Figlio-Verbo, e dello Spirito Santo nel corpo di Cristo crocifisso.

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