L'approfondimento dell'antropologia patristica a partire dai testi
genesiaci (1,26-27 e 2,7) nasce dall'esigenza di cogliere i fondamenti
ontologici dell'origine umana nella lettura cristiana dei primi due
secoli. L'uomo a immagine del Dio invisibile è a immagine dell'Immagine?
Le fonti veterotestamentarie e, in particolare, i libri sapienziali, la
letteratura giudaico-ellenistica e, fra questi, in primis, le opere di
Filone di Alessandria, hanno ripreso i passi inerenti alla creazione con
accentuazioni esegetiche specifiche: ne è emerso il tentativo di
connessione fra i due racconti protologici e la concezione del nesso
noetico-logico come sostanza dell'essere iconico. L'incarnazione di Gesù
Cristo, successivamente, comporta la comprensione dell'immagine in
relazione all'essenza del Logos storico. I testi neotestamentari e le
esegesi dei Padri hanno questo riferimento basilare nella lettura del
Genesi. L'indagine verte su un contesto complesso che deve considerare
l'importanza con cui il termine immagine era pronunciato in ambito
filosofico, più specificatamente, platonico e stoico. Le diverse valenze
inerenti alla concezione antropologica affermate dai primi autori
cristiani rendono evidente la "crisi" dell'identità dell'uomo.
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